
Un romanzo toccante, intimo, che attraverso la forma epistolare permette più che mai al lettore di partecipare direttamente dell’animo dell’autrice.
Una domenica d’estate, mentre giocava, Annie ascolta la conversazione di sua madre con una cliente della drogheria che gestiva: le rivelava il grande segreto di famiglia, la morte della prima figlia, di nome Ginette, avvenuta durante un’epidemia di difterite, nel 1938. Annie ha dieci anni quando ascolta quelle parole, dette distrattamente, con noncuranza, ed esse penetrano dentro di lei con una forza silenziosa ma disarmante.
E dal romanzo alla vita vera, siamo testimoni di come la scoperta di una verità così imponente e destabilizzante sia ciò che per Annie Ernaux fa fare un giro vorticoso alla vita, mettendola sottosopra e sconvolgendone i dettami. È forse ciò che la conduce alla scrittura, il che ci dimostrerebbe, ancora una volta, l’enorme potere terapeutico della letteratura, oltre tutti gli altri.
Si vive quindi in queste pagine una drammaticità controllata che l’autrice ha indagato in prima persona e che ci svela con coraggio attraverso le sue parole limpide e genuine, proprio come lo sono gli occhi di una bambina. La bambina in questione è qui la stessa autrice, che dopo più di sessant’anni consegna al mondo questo suo frammento di vita e condivide con i lettori le sue domande, le sue inquietudini, il suo “lottare contro la lunga vita dei morti”. Il tutto, nel mentre che si rivolge direttamente a lei, a Ginette.
La brevità del romanzo non allieva il compito, e la sensibilità del lettore si amplifica di fronte alla ricercatezza delle parole e allo stile minimalista con cui la scrittrice francese riesce ad aprire mondi interiori vastissimi. Più la sua voce si assottiglia, più l’eco delle sue parole trova nuova risonanza.